Rinuncia all’eredità e inventario, revoca della rinuncia, tutela dei creditori: il punto
La rinuncia all’eredità è l’atto unilaterale con il quale un soggetto rinuncia a un’eredità alla quale risulta chiamato, per legge o per testamento.
Il termine per rinunciare all’eredità coincide con il termine per accettarla, ovvero dieci anni: ma trascorso tale periodo, quello che giuridicamente si perde è il diritto di accettare. Il decorso del decennio dall’apertura della successione produce dunque gli stessi effetti di una rinuncia.
L’articolo 481 del codice civile prevede tuttavia che, su richiesta di soggetti interessati, l’autorità giudiziaria debba fissare un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia (e di nuovo: se non dice nulla, perde il diritto di accettare): è la cosiddetta actio interrogatoria. Soggetti tipicamente interessati sono i chiamati successivi e i creditori dell’eredità, che vogliono sapere verso quale erede possano rivolgere le proprie pretese.
Mentre l’accettazione dell’eredità è irrevocabile, e quindi non è soggetta a ripensamenti, la rinuncia è revocabile, sempre che nel frattempo l’eredità non sia stata accettata da altri chiamati (che siano tali per accrescimento oppure in via successiva).
La rinuncia all’eredità risulta potenzialmente dannosa per i creditori personali del chiamato che rinuncia. L’articolo 524 del codice civile offre loro uno specifico rimedio di impugnazione, consentendo che nonostante la rinuncia possano essere autorizzati ad accettare l’eredità al posto del rinunziante. In realtà, il debitore non diventa erede (e ovviamente neppure i creditori). Essi acquisiscono solo il diritto di rivalersi sui beni ereditari sino a concorrenza del loro credito.
Questo diritto dei creditori si estingue dopo cinque anni dalla rinunzia. Questo significa che potrebbe, in taluni casi, essere esercitato anche se sono trascorsi più di dieci anni dall’apertura della successione.
La materia della rinunzia presenta numerosi profili insidiosi. Vediamo, su alcuni punti specifici, le sentenze più recenti.
Come cambia la posizione del chiamato che è in possesso dei beni, rispetto alla rinuncia?
Il chiamato all’eredità che è nel possesso dei beni deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità. Trascorso tale termine (o quello superiore per effetto di proroga del tribunale, comunque non superiore a sei mesi), senza che sia stato compiuto l’inventario, il chiamato si considera erede puro e semplice (articolo 485 codice civile).
Quindi, se in possesso di beni, il chiamato non ha dieci anni per rinunciare ma tre mesi.
Se però rinuncia prima che decorrano i tre mesi, dovremmo dedurne, non dovrà fare alcun inventario.
Inopinatamente una recente sentenza della Cassazione (Cass. ord. 11 maggio 2021 n. 12437) fa dell’inventario una sorte di requisito per la rinuncia da parte del possessore, indipendentemente dal termine.
Il beneficio d’inventario serve all’erede per non confondere i patrimoni e non si capisca quale utilità qualcuno possa trarre dalla sua redazione da parte del rinunciante, se questi ha effettuato la sua dichiarazione nel breve termine concesso dalla legge[1].
Si può revocare tacitamente la rinuncia ereditaria?
L’articolo 525 del codice civile, in termini letterali, non sembra presupporre una dichiarazione formale: colui che ha rinunciato all’eredità può “sempre accettarla”. In effetti la revoca della rinunzia viene spesso descritta come accettazione tardiva, e l’accettazione può ben essere tacita. La Cassazione si è in effetti espressa in senso favorevole (Cass. 24 luglio 2016 n. 13599).
Tuttavia, nell’ordinamento giuridico, di solito, vi è un principio di simmetria per il quale se per un atto è richiesta una forma speciale (come per la rinuncia), la medesima forma è richiesta anche per la sua revoca.
I creditori del chiamato possono agire se questi ha lasciato decorrere i termini per accettare?
La Cassazione (Cass. 11 novembre 2021 n. 33479) si è recentemente pronunciata sull’applicabilità dell’articolo 524 nel caso che il diritto di accettare l’eredità, da parte del loro debitore, si sia estinto per il decorso del termine invece che per un’espressa manifestazione di volontà.
Nella vicenda sottoposta a giudizio, al chiamato era stato fissato un termine ai sensi dell’articolo 481 c.c.
Giustamente la Suprema Corte ha ritenuto l’inerzia del chiamato assimilabile a una rinuncia manifesta e con interpretazione estensiva ha esteso la tutela dei creditori anche a quest’ipotesi.
Diverso è se il chiamato perde il diritto di accettare per decorso del decennio, perché l’inerzia non è addebitabile soltanto a lui ma anche ai suoi creditori, che avrebbero potuto costringerlo a pronunciarsi in un termine più breve proprio attraverso l’actio interrogatoria dell’articolo 481 c.c.[2]
Si applica l’articolo 524 in caso di rinuncia all’azione di riduzione?
Profonda è la differenza tra la perdita volontaria del diritto di accettare un’eredità alla quale si è chiamati e il mancato esercizio dell’azione di riduzione, o la rinuncia allo stesso, da parte del legittimario nei confronti di un’eredità alla quale sono chiamati altri.
Ciononostante le sentenze degli ultimi anni sono impegnate nell’assegnare una forma di tutela anche ai creditori del legittimario inerte o rinunciante, trovandola per lo più nell’azione revocatoria ex art. 2901 o specialmente nell’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c.
Vi è una terza e ancora più estrema soluzione nell’applicazione dell’articolo 524 anche alla rinuncia concernente l’azione di riduzione. Da ultima, così ha deciso la Corte d’Appello di Napoli sez. V il 12 gennaio 2018. La classificazione dell’art. 524 come norma di sistema invece che norma speciale non appare corretta, ed è anche molto semplificatorio sistematizzare insieme due fattispecie tanto differenti.
Tutta la giurisprudenza in materia, tuttavia, appare viziata da un’impostazione inesatta della questione (persino sotto il profilo etico). In ogni caso, il legittimario che non vuole agire in riduzione, e non vorrebbe vedere vanificato tale intento dall’azione dei creditori, può essere indirizzato a soluzioni giuridiche che si pongono fuori dal perimetro delle sentenze sopra indicate[3].
[1] In senso contrario alla citata Cassazione, pronunce più datate (Cass. 21 aprile 1958 n. 1319; Cass. 27 luglio 1964 n. 2067; Cass. 19 marzo 1988 n. 2911) e la quasi totalità della dottrina.
[2] Così Cass. 23 luglio 2020 n. 15664
[3] Per ampi richiami della giurisprudenza in materi, e una critica degli stessi, rinvio al mio Trust e protezione dei beneficiari in R. Bassetti (a cura di), Il trust: criticità, correzione e sviluppi. La soluzione tuttavia può essere applicata anche in campo strettamente testamentario.
Notaio Remo Bassetti
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