TRUST E CRISI D'IMPRESA
QUANDO NON SI USA IL TRUST
L’impresa Alfa s.r.l., in condizione di insolvenza, decide di soddisfare le esigenze dei creditori a mezzo di un trust. Pertanto vuole trasferire il proprio patrimonio a un trustee, individuato tra uno degli amministratori, con lo scopo di estinguere i debiti. Subito dopo la costituzione del trust, non essendovi più in capo ad essa attività e passività, vorrebbe cancellarsi dal Registro delle Imprese.
Questa operazione, definita trust liquidatorio, dopo un principio di diffusione, ha incontrato una netta opposizione da parte della giurisprudenza, prima di merito e poi di legittimità.
La ragione addotta dalla Corte di Cassazione, nel 2014 (9 maggio 2014 n. 10105), è che la procedura di liquidazione è una procedura pubblicistica, non sostituibile da una procedura privata. In realtà, la principale preoccupazione che si cela dietro queste sentenze non è che la liquidazione si svolga con modalità atipiche ma che non si svolga affatto, e anche quella che i privati vogliano aggirare le conseguenze dell’insolvenza. Nel leading case sottoposto al Tribunale di Milano una snc aveva nominato trustee uno dei soci illimitatamente responsabili, guardiano l’altro socio illimitatamente responsabile e con l’immediata cancellazione dal Registro delle Imprese confidava di far trascorrere l’anno previsto dall’articolo 10 della legge fallimentare, mettendo tutti al riparo dalla dichiarazione di fallimento.
Ad oggi non pare dunque consigliabile il trust liquidatorio.
Va tuttavia precisato:
- 1) che il trust liquidatorio concerne il trasferimento della totalità dei beni. Non è in linea di principio vietato il conferimento in trust di una parte del patrimonio;
- 2) la Corte di Cassazione ha implicitamente ammesso il trust fatto dall’impresa in bonis. Il Tribunale di Milano appare più rigoroso sul punto ma comunque possibilista nel caso che venga introdotta (a pena di nullità, secondo questa opinabile prospettiva) una clausola risolutiva in caso di sopravvenienza di procedura concorsuale. Quand’anche si ritenesse eccessiva questa posizione, non c’è dubbio che del tutto opportuna sia una clausola con la quale si precisi cosa accadrebbe nella circostanza, regolamentando le modalità di passaggio dei beni alla curatela o ai creditori.
QUANDO SI USA IL TRUST
L’impresa Alfa s.r.l. domanda l’ammissione al concordato preventivo. Nella sua domanda attesta il ricorso alla finanza di terzi con la costituzione di un trust da parte dell’amministratore e di un parente dello stesso. Molti tribunali hanno recentemente attribuito valore decisivo, per l’ammissione al concordato preventivo, alla costituzione di un trust a supporto di una domanda di concordato con beni di terzi: soggetti completamente estranei all’impresa o, più frequentemente, soggetti che potrebbero trovarsi in una posizione debitoria conseguente alla crisi d’impresa (come l’amministratore di una s.r.l. in caso di azione di responsabilità). In questi casi la valutazione del tribunale dovrà prendere in considerazione il rischio di un’azione revocatoria da parte dei creditori personali di colui che apporta beni in trust. E’ opportuno condizionare sospensivamente questi trust all’ammissione della domanda concordataria, per non pregiudicare la loro titolarità quando viene meno lo scopo del trust, e anche risolutivamente al successivo fallimento della società ammessa alla procedura.
Più in generale, il trust può costituire una modalità di attuazione del concordato e come tale può essere proposto nel piano. Nella sua versione più rassicurante, esso può prevedere il coinvolgimento del ceto creditorio e del commissario giudiziale o del liquidatore, anche riservando a loro le funzioni di guardiano o trustee. Il trust “misto” (cioè con apporti di terzi) risulta particolarmente pregnante nelle ipotesi di “concordato di gruppo”.