Sull’aumento dell’imposta di successione

In questi giorni è riemersa, in modo mediaticamente più eclatante che in passato, l’ipotesi di aumentare le imposte di successione, quanto meno per i patrimoni più elevati.

Il Presidente del Consiglio, in prima battuta, ha escluso l’eventualità. E però poche settimane fa persino il Fondo Monetario Internazionale ha indicato l’aumento delle tasse di successione fra le misure più adatte a reperire risorse nell’attuale congiuntura economica.

Ma nel caso dell’Italia non si tratta di adattarsi a una particolare congiuntura. Il nostro paese da anni è segnalato, nel limitato campo delle imposte successorie, come una sorta di paradiso fiscale.

Per offrirne un assaggio vediamo quale imposta pagherebbe il figlio erede di un patrimonio paterno ammontante a un milione di euro in liquidi e titoli (o anche in un’abitazione che per l’erede costituirebbe una prima casa).

In Italia invece l’importo sarebbe: zero.
Si tratta dunque di un pesante disallineamento sul piano comunitario e il botta e risposta fra Letta e Draghi suggerisce di affrontare tempestivamente la questione, che rimarrà attualissima, piuttosto che trarne elementi di rassicurazione.

E non è per forza una preoccupazione che deve assillare soltanto i titolari di grandi ricchezze. Nella trascorsa legislatura era già stato presentato un disegno di legge volto ad abbassare la franchigia ed elevare l’aliquota minima. Non dimentichiamo, infine, che non per forza resterà per sempre incompiuto l’aggiornamento delle rendite catastali, che costituirebbe anch’esso un indiretto aumento delle imposte successorie.

Siccome non è consigliabile anticipare la morte per scongiurare le future, maggiori imposte successorie…la soluzione migliore consiste in una pianificazione successoria (che in assoluto, poi, sarebbe di una condotta saggia, a prescindere dalla questione fiscale), orientandola nel senso di anticiparne parzialmente gli effetti.

Se un tempo, una soluzione di questo tipo poteva consistere solo nella devoluzione anticipata a favore degli eredi con una donazione (sia pure con alcune tutele e magari la riserva dell’usufrutto), oggi esistono strumenti giuridici che si lasciano preferire, e meglio soddisfano per una serie di ragioni le aspettative di chi pianifica la propria successione.

Mi riferisco in particolare ai trust. Il trust viene tassato con le stesse aliquote delle donazioni e successioni, e consente dunque a chi lo istituisce (a probabile vantaggio dei suoi eredi) di pagare le imposte secondo le attuali franchigie, aliquote e gli attuali valori immobiliari.

Per essere precisi: l’Agenzia delle Entrate ritiene che le imposte vadano pagate al momento della dotazione dei beni nel trust, e quindi- di solito- contestualmente alla sua istituzione. Invece, la giurisprudenza tributaria e ormai stabilmente anche la Corte di Cassazione affermano che l’arricchimento si verifica non nel momento del passaggio di beni dal disponente al trustee ma si realizzerà quando il trustee trasferirà i beni al beneficiario (tendenzialmente, dunque, alla scadenza del trust).

Fondandosi su quest’interpretazione, il disponente (contestando mediante ricorso la liquidazione dell’ufficio) può pertanto evitare la tassazione immediata. Ma è chiaro che se fra gli scopi del trust c’è anche quello di prevenire un aumento delle imposte di successione, al disponente conviene aderire espressamente all’impostazione dell’Agenzia delle Entrate.

Per chi volesse rinfrescarsi la memoria sui profili principali del trust, o cominciare a familiarizzare teoricamente con gli stessi, rinvio alla pagina https://notaioremobassetti.com/trust-fondo-patrimoniale/trust

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