Il notaio e il trust

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Quando si e quando no

Il primo pensiero, quando si parla di trust, corre alla protezione del patrimonio.
È un pensiero sbagliato se si confida di scansare debiti già esistenti, o dei quali siano già esistenti i presupposti (se qualcuno non ha versato l’Iva, ad esempio, il debito è da considerarsi virtualmente esistente pure se l’Agenzia delle Entrate non se ne è ancora accorta). Chiunque vi suggerisca il trust come soluzione in questi casi, vi sta facendo imboccare una strada inutile, e in certi casi anche pericolosa in termini penali.

Diverso è il caso di chi vuole invece agire in prevenzione, e cioè limitare il suo patrimonio in vista di rischi professionali o d’impresa che potessero sorgere. A questi fini il trust è efficacissimo e non contestato in alcun modo dalla giurisprudenza, sempre che il giurista che ha assistito il disponente sia uno specialista e abbia predisposto le clausole in modo congruo.
Questo non vuol dire che chi ha dei debiti preesistenti non possa istituire un trust: se ha intenzione di pagarli non c’è problema, ed egualmente se fuori dal trust rimane una parte capiente di patrimonio.
Per quanto riguarda invece il soggetto già indebitato, la costituzione di un trust può essere presa in considerazione sotto un altro profilo: i suoi familiari (tipicamente gli ascendenti) hanno la possibilità, grazie al trust, di pensare a soluzioni alternative per la successione, che concilino gli interessi e la tutela del discendente più esposto a richieste di creditori con la tutela futura del patrimonio nell’interesse complessivo della famiglia.

Secondo queste prospettive mi occupo del trust. In particolare del trust interno, cioè quello i cui beni sono per lo più in Italia, e italiani tendenzialmente sono i suoi protagonisti: il disponente (il soggetto che conferisce il patrimonio), il trustee (l’amministratore) e i beneficiari (del reddito o del fondo).
Non me ne occupo mandando subito bozze, che nel caso del trust sono una barzelletta- come lo sarebbe, per curarsi, la bozza di una radiografia fatta a un’altra persona- ma coinvolgendo la clientela in un racconto sulle sue aspettative future o postume, che solo nel corso del nostro lavoro insieme diventano clausole giuridiche.
A parte l’attività principale, di giurista realizzatore del trust, sono disponibile a svolgere il ruolo di trustee, se sono convinto della situazione e dell’atto istitutivo e ovviamente se non sono contestualmente il notaio che realizza e firma il trust.

Trust e successioni

L’obiettivo della protezione patrimoniale, nel trust, si abbina spesso alla pianificazione successoria: si provvede per tempo alla successione con uno strumento che in molte situazioni si rivela più moderno e duttile di un puro e semplice testamento che istituisce eredi e attribuisce legati. Per questo l’idea di ricorrere al trust in chiave successoria è una soluzione interessante anche per chi non ha particolari preoccupazioni di tutela del patrimonio.
Il trust stesso può essere il contenuto del testamento. La via più comune, tuttavia, è un negozio con efficacia immediata, al limite con un fondo che viene dotato in seguito o progressivamente.
Il trust è particolarmente efficace per assicurare il passaggio generazionale dell’impresa di famiglia.

Trust e risparmio fiscale

Sul trust grava il peso di diverse leggende metropolitane: ad esempio che sia nel mirino del fisco.
Tanto poco è vero, questo, che dal 20 ottobre 2022 una circolare lo regola in un modo particolarmente favorevole, differendo a un tempo che può anche essere molto lungo il pagamento delle imposte di successione.
Talmente favorevole che, nella mia opinione, il legislatore ad un certo punto ci rimetterà mano: perché attualmente può verificarsi una sostanziale disparità fra le successioni regolate mediante un comune testamento o le norme sugli eredi legittimi e le successioni regolate mediante un trust, enormemente più convenienti.
Oggi però questa è la situazione, e per chiunque abbia delle proprietà immobiliari o dei valori mobiliari vale la pena almeno di esplorarla per capire se si attaglia al suo caso. Del resto, nemmeno è vero (a maggior ragione dopo la svolta fiscale) che il trust sia uno strumento adatto solo alle grandi ricchezze.

Trust Dopo di noi

Il trust può essere impiegato per scopi molto vari, e fra questi la tutela di soggetti deboli.
Un tipo particolare di trust, esente da imposte, è previsto dalla legge 112/2016 (comunemente detto “dopo di noi”) a favore dei disabili gravi.

Rischi del trust

Sarà chiaro a questo punto che non esistono rischi del trust, se le premesse da cui si parte per costituirlo sono quelle corrette.
In effetti, la credulità dei soggetti indebitati ha spinto alla costruzione di sostanziali truffe: circolava e ancora circola (bisogna dirlo: a prezzi economici) un testo surreale, incomprensibile in italiano, privo di ogni significato giuridico e comico in alcuni passaggi, presentato come il lasciapassare per non pagare più nulla a nessuno (men che mai allo stato per le imposte), smistato anche a persone che pure avrebbero un certo grado di istruzione.
Fuori dalla casistica estrema, l’unico rischio è che il professionista cui ci si è affidati non abbia una cognizione sufficientemente specialistica della materia, o non armonizzi in modo adeguato i tre elementi che lo rendono valido: la convenzione dell’Aja sottoscritta dall’Italia per riconoscere i trust, la legge straniera cui si deve fare riferimento e gli indirizzi giurisprudenziali (rispetto ai quali occorre una certa capacità previsionale).
Se il trust fosse carente sotto questo profilo, la sua invalidità determinerebbe il ritorno del bene a colui che lo aveva istituito, conferendovi i beni: e questi ultimi sarebbero aggredibili non solo dai creditori anteriori all’istituzione del trust ma anche da quelli posteriori.
Per questo la scelta del notaio (o avvocato) che lo costruisce deve essere particolarmente selettiva e accurata.

Vincolo di destinazione e Trust

Tra le forme di protezione del patrimonio vanno segnalate anche il fondo patrimoniale e il vincolo di destinazione.
Il primo, che può essere stipulato solo in presenza di un matrimonio ed è stato molto usato in passato, è piuttosto in decadenza e sempre più spesso nel mirino della giurisprudenza.
Il vincolo di destinazione, previsto dall’articolo 2645 ter del codice civile, è invece una figura interessante e ancora insufficientemente valorizzata. Si presta ai casi in cui l’intento di protezione riguarda un solo immobile, o un paio: ha obiettivi più limitati rispetto al trust, ma pure una struttura molto snella e costi decisamente inferiori.

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Le basi per capire

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Cos’è il Trust: significato

Sino a 35 anni fa sconosciuto nel nostro ordinamento, ancora fino al 2015 considerato da una parte della magistratura un corpo estraneo all’ordinamento, oggi il trust si va affermando come uno degli istituti giuridici di diritto privato più moderni e interessanti per rispondere a rilevanti ed emergenti bisogni individuali.
Si tratta di una figura complessa, e chi si avvicina deve avere cura di esservi accompagnato da un vero specialista. Ma non è affatto una figura astrusa. Scorriamone sinteticamente gli elementi più significativi e cerchiamo di capire cos’è un trust.

Il trust è al tempo stesso un fondo amministrato e un negozio giuridico unilaterale.

L’istituzione di un trust è l’atto con cui una persona (disponente) trasferisce dei beni a un soggetto (trustee) affidandogli il compito di amministrarli nell’interesse di altri soggetti (i beneficiari).
Questi ultimi possono essere beneficiari del reddito e/o beneficiari del fondo. I beneficiari finali riceveranno il fondo a una certa scadenza, che potrebbe anche coincidere con la morte del disponente. In tal caso, il trust assume una chiara funzione di pianificazione successoria, alternativa al testamento.
I beneficiari possono essere indicati in sequenza, prevedendo cosa accade se ne venga a mancare qualcuno prima della scadenza.
I beni conferiti in un trust, ovviamente, possono essere alienati, liberamente o con i limiti previsti nell’atto istitutivo. La gestione dinamica dell’amministrazione è fisiologica.
Il trust può anche mancare di beneficiari in senso stretto e perseguire uno scopo: un caso classico è quello del trust istituito per estinguere i debiti prevedendo, che soddisfatti tutti i creditori, il residuo ritorni in capo al disponente.
Anche se per semplicità abbiamo definito il trust come “il trasferimento…”, tecnicamente vi sono due strumenti negoziali distinti, anche quando vengono attuati contestualmente: uno è l’atto istitutivo, unilaterale appunto, che contiene il regolamento del trust; l’altro è la dotazione, il trasferimento dei beni, che presuppone l’avvenuta accettazione della nomina da parte del trustee ed è un atto bilaterale. Certe sfumature solo apparentemente sono irrilevanti. Se ne sono accorti gli avvocati che hanno intentato l’azione revocatoria contro l’atto istitutivo del trust e spesso se la sono visti giustamente respingere, perché il depauperamento patrimoniale del debitore non discendeva dall’atto istitutivo ma dalla dotazione.
Un caso particolare è il trust autodichiarato: qui manca proprio il trasferimento. Il disponente “nomina” se stesso come trustee e da quel momento non possiede più i beni come persona fisica ma in quanto trustee del trust, e non può agire con la stessa libertà di quando era proprietario. La sua amministrazione, infatti, deve essere finalizzata allo scopo del trust e svolta nell’interesse dei beneficiari.
Anche quando è un trasferimento, il trust ha natura fiduciaria. Non si trasferisce il bene per arricchire il trustee ma per raggiungere degli scopi estranei all’interesse del trustee, che è appunto una persona nella quale si ripone questa forma di fiducia. Questo non significa che sia facile per il trustee abusare della fiducia e utilizzare il patrimonio a suo favore. In un trust costituito seriamente da un esperto si può anzi escludere nella pratica che questo possa mai accadere.
Il trust può essere immobiliare (cioè includere solo beni immobili) ma anche più esteso. Qualsiasi bene, infatti, può essere conferito in trust, compresi quote societarie, beni mobili, opere d’arte, titoli e denaro.

I soggetti del trust

Riassumendo brevemente il trust ha tre categorie di soggetti necessari: il disponente, che lo istituisce e conferisce i beni; il trustee, il fiduciario amministratore; i beneficiari (del reddito e/o del fondo).
A questi deve però essere aggiunta una categoria non obbligatoria (salvo che in alcuni casi) e tuttavia essenziale per assicurare gli equilibri internamente al trust, ovvero il guardiano, che ha il compito minimo di vigilare sull’operato del trustee. Si potrebbe prevedere che presti anche consensi e autorizzazioni.
Una fase delicata nella costituzione del trust consiste nello stabilire le regole di nomina e revoca del trustee e del guardiano.
Ma chi può fare il trustee, o il guardiano? In teoria, lo abbiamo visto, persino il disponente stesso. Nel trust, però, non bisogna ragionare di quel che “si può fare” in termini astratti: bisogna valutare caso per caso l’opportunità. Il trust autodichiarato, se si aspira alla protezione del patrimonio, di solito non è una grande idea, e neppure quella di nominare trustee il coniuge. Nella maggior parte dei casi è consigliabile che il trustee sia un professionista, anche già di fiducia del disponente. Per le ipotesi di gestioni patrimoniali maggiormente complesse si può ricorrere a una trust company, una società specializzata. Non è comunque da escludere a priori il ricorso a figure familiari. Bisogna valutare caso per caso.
Anche se non formalizzato, l’altro vero soggetto del trust è il professionista giuridico (notaio o avvocato) che lo progetta, e certamente deve trattarsi di un esperto, uno specialista, e anche di una persona dotata di una discreta qualità creativa (poche figure giuridiche come il trust solo lontane dall’attuazione di uno “standard”. Di chi lo propone serialmente si deve senz’altro diffidare).

Trust e contratto

Sarà chiaro, a questo punto, che il trust non è mai un contratto. Bilaterale (ma non contrattuale) è solo l’atto di dotazione. Ma non c’è un contratto del disponente con il trustee e men che mai un contratto fra il trust e il beneficiario. Dal momento della sua esistenza e nello svolgimento dell’amministrazione dei beni, il trust può concludere dei contratti. Ma tecnicamente sarà davvero il trust la parte contrattuale?
In realtà, il trust è un soggetto solo dal punto di vista tributario. Per il diritto civile non è assimilabile a un ente, come una società o una fondazione. Il vero soggetto è il trustee del trust, l’amministratore del fondo. Ci sono ragioni giuridiche che qui sarebbe troppo lungo spiegare, ma si tratta di una precisazione rilevante.
Rimane il fatto che i beni conferiti trust non hanno nulla a che fare con i beni personali del trustee, e non sono pertanto soggetti di essere giudizialmente aggrediti per debiti personali di quest’ultimo.

Il trust e la protezione del patrimonio

Il trust viene normalmente presentato come uno strumento di protezione e tutela del patrimonio e questo ha costituito la sua fortuna e la sua disgrazia. Infatti, gli aspiranti fruitori del trust sono diventati debitori alla canna del gas, spesso con ingente esposizione nei confronti dello stato, illusi (o magari illusi da alcuni professionisti) di avere a disposizione una bacchetta magica con la quale fare maramao ai creditori. Ovviamente questo non è possibile: già il codice civile prevede all’articolo 2901 l’azione revocatoria (con la quale a certe condizioni si possono rendere inefficaci gli atti che danneggiano coloro che già vantavano un credito). Nel 2015 è stata introdotta, sempre nel codice, una norma, l’articolo 2929 bis grazie alla gli atti a titolo gratuito, come di solito il trust, sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori senza nemmeno che ciò debba essere ottenuto a mezzo di un’azione revocatoria: per un anno dall’atto i creditori possono compiere azioni esecutive sul bene trasferito.
Il trust ottiene l’effetto di “segregare” il patrimonio” cioè di renderlo inattaccabile dai creditori personali: ma la segregazione funziona rispetto al trustee, al suo patrimonio personale. Una volta trasferito, dal punto di vista del disponente, il bene non è segregato: semplicemente non è più suo. E dal punto di vista del beneficiario, non è ancora suo (e a seconda di come è strutturato il trust potrebbe anche non diventarlo mai). Il concetto di protezione patrimoniale, quindi, deve essere inteso in modo meno grossolano. Può ben darsi che il motivo, o uno dei motivi, che spinge una persona a costituire un trust sia mettersi al riparo da debiti che dovessero insorgere. E certamente trasferirli significa ottenere quest’obiettivo. Ma mentre con un comune trasferimento (come una vendita o una donazione) il disponente perde ogni potere di incidere sulla circolazione futura dei beni e anche la possibilità di trarne ancora dei vantaggi, con il trust non necessariamente questa frattura è così radicale. Il trustee, infatti, è tenuto a esercitare i suoi poteri di amministrazione in modo conforme a quanto il disponente ha stabilito nel trust; l’atto istitutivo potrebbe prevedere che in determinate circostanze i beni vengano impiegati a favore del disponente; questi può, nella realtà dei fatti, esprimere desideri che, se non contrastano con l’atto istitutivo e la finalità del trust, il trustee normalmente asseconderà. Insomma, il trust non deve essere messo su “per finta”. Ma questo non colloca assolutamente il trust sul piano degli altri atti di trasferimento della proprietà.

Trust o fondo patrimoniale?

Parlando di protezione del patrimonio, molti si domandano se sia meglio il trust o il fondo patrimoniale. Si tratta in realtà di un dubbio assurdo: il fondo patrimoniale è soltanto una sorta di bollino apposto su degli immobili, che con il passare del tempo (e una lunga storia di azioni revocatorie accolte per frode verso i creditori) ha perso ogni appeal, e per quella che è l’evoluzione della giurisprudenza non serve quasi più a nulla.
Tra i due istituti non c’è davvero nessuna relazione, e chi oggi si trova con un fondo patrimoniale non dovrebbe sentirsi tanto sicuro riguardo alla tutela del suo patrimonio. Bene farebbe, se quella è la sua intenzione, a pensare a un trust: ma deve entrare in un ordine di idee completamente diverso, sia per il tipo di struttura che per i costi.
Più interessante, e parente del trust è il vincolo di destinazione, che il codice civile prevede all’articolo 2645 ter. Rispetto al trust, tuttavia, è meno adatto a una gestione dinamica e comprendente più immobili ( e non può riguardare beni differenti dagli immobili).

Le principali ragioni per costituire un trust. Trust familiare e altri esempi

  1. Proteggere il patrimonio. Alla luce di quanto detto sopra, il trust è un ottimo strumento per proteggere il proprio patrimonio in modo onesto e trasparente, cioè non per frodare dei creditori esistenti ma per porlo al riparo da avverse circostanze future che possano corroderlo o consumarlo. Un soggetto che svolge l’attività di imprenditore, o anche quella professionale, è certo una figura potenzialmente assai interessata al trust, a condizione che abbia l’accortezza (e specie che l’abbia colui che l’assiste nel trust) di pianificare le sue necessità finanziarie, semmai per escludere alcuni ben dal trust o prevedere dentro il trust stesso quali circostanze possono rimetterli in gioco quali beni utilizzabili, in qualità di garanzie, fonti di liquidità o diretto impiego aziendale.
    Ma ancor più dell’imprenditore, chi dovrebbe porsi il problema della salvaguardia del patrimonio familiare è il genitore di un imprenditore. Indirizzare tale patrimonio, ad esempio, verso i nipoti, mettendo tuttavia in conto il salvataggio dell’imprenditore in caso di necessità, o comunque l’appagamento delle sue esigenze di reddito, è una condotta del tutto meritevole di tutela, che non si scontra nemmeno astrattamente con una diversa determinazione dei creditori (che sarebbero appunto creditori di un soggetto diverso dal disponente)
    Per i professionisti, una specifica preoccupazione può essere quella delle azioni di risarcimento. Solo di recente la Cassazione ha mutato orientamento rispetto al momento in cui parte il termine decennale di prescrizione dell’azione, indicando come tale il compimento del fatto e non il momento in cui il soggetto è venuto a conoscenza del danno. Però nella materia esistono ancora zone grigie, e non è del tutto estinto il rischio di trasmettere agli incolpevoli eredi l’onere di soddisfare richieste postume di danno, se costoro non hanno conservato per l’eternità i fascicoli del genitore professionista, dai quali potesse emergere la prova della sua diligenza (e tra l’altro, se non hanno accettato l’eredità con beneficio d’inventario ne rispondono pure col patrimonio personale).
    La protezione del patrimonio, tuttavia, non è al momento considerata una causa sufficiente per la costituzione di un trust. In altre parole, non sarebbe ammissibile un trust in cui il disponente conferisce il patrimonio in un trust che ha il solo scopo di passargli il reddito mensile e stendere una cortina di protezione intorno al patrimonio. Per questo il trust ha sempre una causa più articolata, che sovente coincide con la destinazione futura del patrimonio ad altri soggetti e progressivamente con un’amministrazione a loro favore.
    Anche se come definizione tecnica non ha alcun significato, credo che un concetto come “trust familiare” contribuisca a chiarirne il senso. I trust più qualificati vengono istituiti non tenendo presente solo lo stretto interesse del singolo ma in ottica familiare, concepiti in chiave generazionale.
  2. Pianificazione successoria. Il trust è un modo moderno di regolare la successione, alternativo al testamento. Più precisamente, il trust può essere anche contenuto in un testamento e in questo caso, ovviamente, non produce alcun effetto prima della morte del disponente. Ma dal trust testamentario discende un modo di regolare l’eredità comunque profondamente diverso dall’istituzione di eredità e dall’attribuzione di legati.
    Fuori dal caso del testamento, il trust ha egualmente effetti successori quando la scadenza coincide con la morte del disponente, o anche di altra persona (ad esempio il coniuge, o i suoi discendenti di primo grado): nel frattempo però produce effetti in capo ai beneficiari del reddito e matura, attraverso l’amministrazione del fondo, gli effetti che saranno prodotti in capo ai beneficiari finali (che sono equiparabili agli eredi). Risulta dunque evidente (oltre che per la complessità della struttura) la sua differenza rispetto a una semplice donazione, che determina una spoliazione immediata a favore degli eredi: anche trattenere l’usufrutto non consentirebbe di vendere immobili prescindendo dalla volontà di colui che ha ricevuto la donazione ed è pertanto nudo proprietario.
    L’anticipazione del patrimonio per via di donazione è ancora più delicata quando i donatari sono minorenni, sia perchè ogni atto di straordinaria amministrazione sui beni dovrà passare per il vaglio di un’autorizzazione sia perchè può risultare psicologicamente avventato che, compiuta la maggiore età, un ragazzo si trovi intestatario di un patrimonio, più o meno consistente. Inoltre, la donazione (salvo un paio particolari casi, che hanno una discreta quantità di controindicazioni) fa entrare definitivamente il bene nell’esse ereditario del donatario: se costui si sposasse, il coniuge (anche quello legalmente separato) subentrerebbe nell’asse ereditario, circostanza che potrebbe essere sgradita al donante. Il trust, invece, può differire il passaggio della proprietà anche oltre la morte del disponente e prevedere, in caso di premorienza, il mutamento del beneficiario: tutti i problemi di cui sopra vengono evitati e la titolarità fiduciaria del bene è in capo al trustee, orientata agli scopi e condizionata dalle circostanze che il disponente ha previsto nell’atto istitutivo.
    Nemmeno il trust può ledere i diritti dei legittimari: non è quindi uno strumento idoneo a “diseredare” i discendenti o il coniuge con cui i rapporti si siano guastati. Ciò non toglie che un trust ben costruito è un modo per dividere il patrimonio come si ritiene giusto e nel quale si possono includere clausole che disincentivano dall’attuare contestazioni giudiziarie i legittimari a cui in qualche modo si sia provveduto.
    Attribuendo poteri discrezionali al trustee, è possibile rimescolare le attribuzioni a favore degli eredi quando circostanze della vita, successive alla morte del disponente, suggeriscano un diverso assetto di equilibri (favorendo ad esempio quello che tra i beneficiari abbia perso il lavoro o sia stato colpito da un problema di salute o invece abbia meritoriamente intrapreso una carriera che beneficia di un avviamento finanziario).
  3. Proteggere soggetti disabili. Un grande cruccio dei genitori con un figlio disabile è come garantire la soddisfazione dei suoi bisogni. La tutela giudiziaria viene talora percepita come la dispersione del soggetto debole in una landa burocratica non sempre disposta a misurarsi su esigenze veramente specifiche e personali. Il trust è in grado di risolvere questo problema. Questo non vuol dire sostituire in toto la disciplina privatistica a quella pubblica: le due possono benissimo integrarsi con la collaborazione tra il tutore (o l’amministratore di sostegno) e il trustee. Il rappresentante legale potrebbe persino assumere la funzione di guardiano. La giurisprudenza ha addirittura ammesso che l’iniziativa della costituzione di un trust possa partire proprio dal legale rappresentante dall’incapace.
    Quando il soggetto debole corrisponde tecnicamente alla qualifica di “disabile grave”, esiste una legge specifica che incentiva l’uso del trust, la legge 112/2016, nota come “Legge Dopo di Noi”, e che funziona sovente come trust “durante noi”, nel senso che i genitori provvedono a istituirlo già in vita. Comunemente parte come trust autodichiarato: cioè i genitori, o uno di loro, si nominano trustee di uno o più beni che già possiedono, e però al tempo stesso prevedono (oltre a tutta una serie di elementi contemplati dalla legge) le regole per la scelta del futuro trustee nel caso che venissero a mancare. In questa forma di trust non si verifica mai l’attribuzione finale del bene al disabile.
    I conferimenti nel trust dopo di noi (e anche gli acquisti a titolo oneroso dal trustee) godono di una completa esenzione fiscale.
  4. Il passaggio generazionale d’impresa. I libri di storia economica ci insegnano che il modello industriale dell’Italia è familiare. Purtroppo, però, questo fenomeno è caratterizzato da un elevato tasso di mortalità nel tempo: solo il 14% delle imprese familiari, infatti, riescono ad approdare alla terza generazione. Il destino conclusivo dell’86% è quello del collasso nel passaggio da una generazione a quella successiva. Se tra le cause non si possono trascurare quelle psicologiche, legate alle dinamiche intrafamiliari, i rimedi sul piano giuridico-economico sono stati per lo più insufficienti. Magro, per una serie di lacune di fondo, è stato il percorso delle poche norme della riforma di diritto societario pensate per il tema (come le azioni con voto plurimo) o del patto di famiglia che sarebbe in teoria lo strumento ritagliato su misura ma presenta numerosi difetti. Il trust sembra finalmente l’anello mancante nell’ordinamento. Esso consente di gestire al meglio la ripartizione delle posizioni tra i discendenti che non sono impegnati nell’impresa e quelli che la continuano; o di frapporre una competenza esterna manageriale al passaggio diretto nelle mani di un discendente che ancora non abbia acquisito le competenze adeguate. Con il trust, in questo settore, si può rimediare a quel cronico male della nostra cultura nazionale, che è la totale commistione tra patrimonio personale e personale familiare. È in quel deficit, prima che in una volontà fraudolenta, che si trovano le radici di tanti drammi diventati, nello stesso identico istante, economici e personali. L’impiego del trust nel passaggio generazionale (che naturalmente può riguardare anche quote o azioni di società) è anche di notevole convenienza fiscale.
  5. Affrontare la crisi d’impresa. Una delle casistiche più battute dalla prassi è quella che prevede l’istituzione di un trust in concomitanza con la crisi d’impresa. Si è anzi a un certo punto mirato a costituire “trust liquidatori”, che avevano lo scopo di sostituire la procedura concorsuale, non di rado alterando la par condicio dei creditori o con il poco commendevole scopo di porre in liquidazione la società, dopo avere ceduto i suoi beni in trust, cercando poi di far trascorrere l’anno oltre il quale non poteva essere dichiarata la sentenza di fallimento (termine scomparso con la riforma della materia).
    Come sempre, bisogna diffidare di queste scorciatoie: sia pure con argomenti giuridicamente non sempre cristallini (la vera spinta era l’esigenza equitativa di impedire la frode dei creditori) i giudici di merito e legittimità si sono opposti a questa deriva, e i trust liquidatori, nei termini sopra indicati, si possono considerare liquidati a loro volta. Ma questo non ha reciso ogni possibile rapporto fra trust e crisi d’impresa: intanto la maggior parte delle ipotesi cassate riguardava il trasferimento dalle totalità dei beni e non di una parte, e avveniva in una fase di insolvenza irreversibile: circostanze differenti aprono scenari egualmente differenti; poi, il trust può essere proposto come mezzo di realizzazione di una procedura concordataria, coinvolgendo anche gli organi della procedura; infine, negli ultimi anni, molti tribunali hanno considerata decisivo il conferimento in trust di beni personali dell’imprenditore o di soggetti a lui vicini per valutare positivamente, dal punto di vista delle risorse finanziarie, la domanda di ammissione al concordato. Diciamo che una volta sgombrato il campo dall’illusione che il trust possa agire efficacemente per sottrarre i beni a richieste lecite, si apre un territorio sconfinato in cui esso diventa uno strumento flessibile, da disegnare in modo specifico per ogni singola situazione e per contribuire a risolvere positivamente una crisi d’impresa (sempre che sia risolvibile di suo sul piano economico).
  6. Perseguire obiettivi sociali o di beneficenza. Il trust si presenta anche come un’alternativa alla costituzione di una fondazione, rispetto alla quale è maggiormente flessibile e modulabile.
    Negli ultimi anni il trust Onlus, cui sono state riconosciute le agevolazioni fiscali ha saputo costruirsi una credibilità come strumento idoneo a realizzare fini sociali o filantropici.
    L’istituzione del Registro del Terzo Settore tuttavia ha apparentemente cambiato il quadro: non essendo un ente il trust non può iscriversi al RUNTS e rimane anche dubbia la sorte dei trust Onlus già esistenti. È auspicabile che intervenga la legge a consentire l’iscrizione evitando che vada dispersa la promettente esperienza del trust nell’ambito del non profit.
  7. Sistemare rapporti familiari. Nell’ambito delle sistemazioni patrimoniali conseguenti alla separazione e al divorzio il trust è molto efficace: il trust può essere regolato in modo da tutelare tutti i membri della famiglia e ridurre i conflitti che si aprono di fronte alla prospettiva di immediati e irreversibili trasferimenti di proprietà dall’uno all’altro dei coniugi o a favore direttamente dei figli. Allo stesso modo, il trust può armonizzare i passaggi patrimoniali che riguardano le famiglie allargate e ricomposte.

Ancora sui rischi del trust

Costituire un trust, di per sé, non implica alcun rischio: sono del tutto infondate le voci popolari riguardo al fatto che la costituzione di un trust rincresca allo stato o all’agenzia delle entrate (che tra l’altro ha appena fornito indicazioni fiscalmente favorevoli). Vero è che ci sono stati casi di cronaca, riguardanti per lo più trust esteri, nelle quali il trust era solo l’anello finale di forme di evasione fiscale; ed è vero che la novità del trust ha attirato torme di truffatori e arruffoni, che hanno illuso diverse persone di potersi sottrarre agevolmente ai propri creditori. Ed è vero che nei più estremi di questi casi la costituzione del trust poteva peggiorare una posizione già penalmente rilevante, e in alcuni casi ha integrato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Ma in una situazione normale e trasparente, il trust è una forma legittima e ormai indiscussa di organizzazione ottimizzata di un patrimonio, anche un piccolo patrimonio.
Il vero rischio è quello di non ottenere gli scopi prefissati quando il professionista cui ci si affida non lo costruisce con la dovuta perizia. Peggio, di vedere il trust finire nel nulla, con il risultato che i beni del fondo tornerebbero nella sfera del disponente e potrebbero essere aggrediti anche dai suoi creditori, che tali sono divenuti dopo la costituzione del trust (non solo quelli anteriori, quindi).
A questo riguardo, va precisato che non è valido qualsiasi trust ma solo un trust munito dei requisiti previsti dalla Convenzione dell’Aja 1° luglio 1985. Ad esempio non sarebbe valido un trust contrario all’ordine pubblico o uno in cui il disponente conservasse il potere di firmare gli atti al posto del trustee, come se costui fosse soltanto un suo procuratore. Una percentuale alta dei trust che hanno incontrato l’opposizione della giurisprudenza erano riconducibili a una tipologia che potremmo chiamare “trust per finta”, negli ordinamenti anglosassoni chiamati “sham trust”, che la giurisprudenza italiana ha di volta in volta ricondotto alla nullità o alla simulazione. Si sono letti trust in cui il trustee poteva amministrare solo se autorizzato dal disponente; oppure trust liberamente revocabili dal disponente; o altri in cui, a prescindere da quanto era scritto nell’atto istitutivo, il disponente aveva libero accesso al conto del trust come se si trattasse del suo bancomat. È ovvio che in questi casi il trust era un mero espediente.
Senza arrivare a questi livelli macroscopici, preparare un buon trust significa principalmente dosare bene gli equilibri interni di potere e controllo e prevedere dall’inizio tutto ciò che di significativo (e misurato su quel caso concreto) potrebbe modificare la qualità, la quantità e la destinazione dei benefici. Nel gioco di equilibrio sul controllo è fondamentale la figura del guardiano, il cui inserimento giova anche a placare il timore che più angoscia chi si confronta con la prospettiva di istituire un trust: cosa succede se il trustee decide di vendere tutto e fuggire col malloppo? Il guardiano è una figura di raccordo che può arricchire molto, e in positivo, la ricchezza strutturale del trust.

Il trust, la legge italiana, la legge straniera

Il trust non è regolato dalla legge italiana ma è da essa previsto. Infatti è stato introdotto il 16 ottobre 1989 dalla legge di ratifica n. 364 della convenzione dell’Aja, sottoscritta dall’Italia il 1° luglio 1985.
L’assenza di una legge italiana impone di fare riferimento a una legge straniera, e in assenza di ciò il trust è certamente nullo. L’applicazione di quella legge, tuttavia, troverà dei limiti di compatibilità con l’ordinamento italiano, secondo le indicazioni della stessa convenzione. Per esempio, anche se riconosciute dall’ordinamento straniero, non potranno applicarsi disposizioni che ledano i diritti del legittimario o la protezione degli incapaci. Le leggi più utilizzate sono quelle di impianto anglosassone o nordamericano. Molte sono leggi riconducibili ai paradisi fiscali (come quella molto duttile e completa di Jersey o quella del Liechtenstein) ma questo non rende “losco” il trust. La ragione è legata al fatto che i trust sono stati anche adoperati come strumenti per amministrare capitali all’estero e dunque i paesi motivati a una regolamentazione dettagliata (e competitiva nel mercato dei capitali) sono quelli. Ma un trust italiano su beni italiani, quand’anche fosse regolato da una di quelle leggi, è un fenomeno completamente diverso e che non incontra ostilità da parte dello stato italiano, a meno che non persegua fini elusivi.
Il professionista qualificato non dovrà conoscere solo la legge straniera che regola il trust e i criteri interpretativi della convenzione dell’Aja: dovrà anche dedurre correttamente i termini in cui l’ordinamento italiano ha metabolizzato il trust e la loro evoluzione.
Il trust i cui elementi principali si trovano in Italia, e di straniero in sostanza ha soltanto la legge, si definisce trust interno. Di fatto implica una specializzazione che può essere molto diversa da quella che concerne i trust esteri.

Quanto costa istituire un trust. Trust e fisco. Le imposte indirette.

Per quel che riguarda le imposte indirette sul trust (o più precisamente sugli atti di dotazione) si applicano le imposte sulle successioni e donazioni, con le medesime aliquote. Le aliquote vengono calcolate tenendo conto del legame di parentela fra il disponente e il beneficiario del fondo.
Ma quando devono pagarsi le imposte sulla costituzione del trust?
Sulla questione vi sono state non poche controversie. Fino al 2023 l’Agenzia delle Entrate ha preteso la riscossione nel momento stesso della dotazione, dunque del passaggio dei beni dal disponente al trustee. Il suo argomento era che il trust è un’operazione unitaria, e non vi è dunque ragione di attendere che arrivi a scadenza per percepire le imposte.
La maggior parte delle commissioni tributarie accoglieva però i ricorsi dei contribuenti. La tesi, nella sua essenza, è che le imposte si pagano quando si verifica un arricchimento, mentre nel passaggio di beni dal disponente al trustee si registra solo l’impoverimento del disponente. E il beneficiario, in teoria, potrebbe anche non ricevere mai nulla se l’amministrazione del fondo fosse talmente disastrosa da azzerarne il valore.
A partire dal 2020, la Corte di Cassazione, dopo un’iniziale incertezza, ha sposato questa tesi, e pronunciato una serie di ordinanze e sentenze sfavorevoli all’Agenzia delle Entrate, che alla fine si è arresa. Dal 30 ottobre 2023 la materia è regolata dalla circolare 34/E nella quale si stabilisce che il trust è da tassare alla sua scadenza, con il trasferimento dei beni dal trustee al beneficiario del fondo. Questo anche per le imposte ipotecarie e catastali, nel caso siano presenti beni immobili.
In realtà, la precedente posizione dell’Agenzia delle Entrate non era così sfavorevole rispetto alle operazioni di pianificazione successoria. In Italia, infatti, le imposte di successione, considerando le aliquote e le franchigie, sono nettamente favorevoli rispetto alla quasi totalità degli altri paesi occidentali, e ogni tanto torna ad affiorare l’ipotesi di un aumento, anche nell’ottica di un riallineamento delle aliquote nell’ambito comunitario (basti qui dire che in alcuni casi la stessa successione del valore di un milione di euro a favore dei figli non pagherebbe alcuna imposta in Italia e in Francia invece riceverebbe un salasso di 260.000 euro!). Con il trust, quindi, si poteva pianificare in anticipo la propria successione, vincolandola alle aliquote attuali e sterilizzando aumenti futuri.
Nell’immediato, tuttavia, la situazione si presenta ancora più vantaggiosa. L’imposta viene differita sino a un periodo che può essere anche molto lungo, persino di due generazioni. Non è da escludere che questa considerazione (che crea un regime fiscale molto diverso tra chi realizza la successione mediante un trust rispetto a chi la affida a un testamento o alla successione legittima) induca lo stato a intervenire normativamente. Ma in questo momento, con una fresca circolare dell’Agenzia delle Entrate, non c’è dubbio che la situazione sia questa, e che dunque la leva del vantaggio fiscale nel trust sia ancora più forte.
La circolare 34, tuttavia, accenna ad alcune situazioni in cui il trasferimento del fondo deve considerarsi già attuato, sin dall’istituzione. Ancor di più diventa decisiva la mano di uno specialista per allestire la struttura del trust in modo che gli effetti, civilistici come fiscali, siano davvero quelli preventivati dal disponente.
La circolare 34/E, inoltre, riconosce finalmente che non tutti i trust abbiano natura di liberalità, e apre la porta a una diversa tassazione (o anche alla non tassazione) dei trust costituiti per liquidare i creditori.

Quali tasse paga un trust. Le imposte dirette.

Dal punto delle imposte dirette il trust è stato “entificato” dalla normativa tributaria che lo considera alla stregua di una società. La tassazione del reddito, tuttavia, varia a seconda che il trust sia opaco o trasparente: trasparente è il trust in cui manca un beneficiario che abbia diritto a un reddito certo, anche nella misura; opaco in caso contrario. Dunque, se è previsto che il beneficiario del reddito riceva 20.000 euro all’anno, per quell’importo il reddito sarà tassato in capo al beneficiario; se fosse previsto che egli riceva quanto necessario al suo sostentamento, data l’indeterminatezza del quantum, il reddito sarà tassato in capo al trust, che dovrà fare la dichiarazione dei redditi come una persona giuridica. Attualmente si applica un’aliquota secca del 24%, che tende a essere minore dell’aliquota media di un adulto con un reddito discreto. Ma, a parte il fatto che vanno perdute alcune agevolazioni previste a favore della persona fisica (ad esempio il trust non può concedere in locazione con la cedolare secca nè beneficiare dell’Imu per la prima casa), il risparmio nelle imposte dirette non è mai una ragione sufficiente per dare vita a un trust, trattandosi di un’operazione che va concepita per gli effetti sul medio-lungo periodo (e, in pochi campi come nelle imposte, del doman non v’è certezza). Di sicuro non vi sono, però, ragioni decisivamente contrarie in termini di imposte dirette, rispetto alla costituzione di un trust, e quelle pregiudizievoli che dovessero sopravvenire possono essere più che ammortizzate con una previdente stesura del trust che metta in conto tale eventualità.

Il trust e il notaio

Il trust non deve per forza essere stipulato per atto notarile. Ci si potrebbe anche limitare a registrare una scrittura privata presso l’Agenzia delle Entrate.
Se però si tratta di un trust immobiliare (cioè dotato di beni immobili) o che conferisce nel fondo quote societarie, si deve necessariamente passare per un notaio.
A quel punto, scegliere come professionista cui affidare la costruzione del trust un notaio esperto e specializzato nella materia evita la dispersione (fermo restando che la collaborazione tra più professionisti non è mai disdicevole, anzi!).
Più di ogni altra attività notarile, il trust può essere gestito a distanza, salvo l’atto conclusivo della firma. Sarà quindi normale individuare un professionista sull’intero territorio nazionale, e procedere con incontri in videochiamata e scambi di comunicazioni e documenti, e in tal modo completare in modo soddisfacente tutta la struttura del trust.

Quanto costa un trust

Anche quando un trust realizzato a fini di successione scontava immediatamente le imposte di successione, questi costi erano solo un’anticipazione di spese che la famiglia avrebbe poi sostenuto al momento del decesso (magari in misura molto maggiore, in caso di aumento delle imposte).
Oggi l’impatto fiscale immediato è quasi azzerato, e a parte poche spese e imposte fisse, la gran parte dei trust può essere costituita rinviando anche a un tempo molto lontano il pagamento delle imposte.
Rimane il costo del professionista. Al riguardo, la domanda “quanto costa un trust?” rischia di suonare ingenua, come lo sarebbe la domanda “quanto costa una macchina?”.
Il costo del trust dipende dalle tariffe del singolo professionista, e queste saranno commisurate all’importo dei beni ma ancor più alle difficoltà del caso concreto e all’impegno richiesto. Di certo, un trust non si firma in quattro e quattr’otto: per essere condotto seriamente richiede diversi incontri preliminari e una grande attenzione da parte del professionista che avete scelto nel far emergere bisogni e opportunità specifici che non avete preso in considerazione.
Se, come quasi sempre, il trust persegue finalità importanti (e qualsiasi trust familiare, successorio e/o con un obiettivo di protezione patrimoniale le persegue chiaramente) non dovere fermarvi solo sul prezzo per scegliere il professionista, e dovere attendervi il costo di un’attività fortemente specialistica.
Questo non vuol dire che il trust sia adatto solo alle persone molto ricche o ai grandi patrimoni, né che si tratti di una spesa per forza troppo onerosa per le tasche di una persona con un piccolo patrimonio da proteggere e tramandare.
Siccome un preventivo al buio da parte di un professionista non sarebbe un buon biglietto da visita, la cosa migliore è sceglierne uno per ricevere una consulenza e, al termine di questa, il preventivo.

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