Il caso Elkann- Margherita Agnelli spiegato (in modo chiaro) sul piano del diritto 

I media nazionali e internazionali hanno riportato in modo sommario il caso del sequestro dei beni dei fratelli Elkann per un valore di 74,8 milioni. Dalle cronache si apprende: che origina dalla prosecuzione della lite giudiziaria con la sorella Margherita; che il problema emergente è una pesante evasione fiscale, anzi una frode; che il perno della vicenda è la veridicità o meno della residenza in Svizzera della defunta moglie di Agnelli, Marella Caracciolo; che secondo l’accusa la famiglia Elkann avrebbe prodotto, in merito alla residenza, varie falsificazioni e con riguardo al patrimonio realizzato trust fittizi e e donazioni finte. Arrivati a questo punto, i dettagli tendono a orientarsi sull’aneddotica della vicenda (un libro di Marella Caracciolo, pubblicato per Adelphi, modificato solo per inserire riferimenti alla sua vita in Svizzera, la proprietà dei cani di Gianni Agnelli a persona diversa dalla vedova per non lasciar trasparire che continuasse a tenerli lei in Italia ecc.), e i lettori hanno modo di comprendere poco della vicenda, persino se sono giuristi.

Ne spiegherò dunque, riassuntivamente, i punti cruciali. Non entrerò tuttavia nel merito penale della vicenda e tanto meno mi arrogherò la pretesa di pronunciare un verdetto. Mi servirò dell’affaire Elkann invece per mettere in luce alcuni aspetti del diritto successorio internazionale e del diritto dei trust.

La legge che regola la successione.

Quale legge nazionale si applica a una successione? A partire dal 2015 (con il Regolamento delle Successioni Europee), quella del paese dove il defunto era residente: questo vale anche se era cittadino di un altro paese (salva, in questo caso, la possibilità per lui di effettuare una dichiarazione di scelta della legge successoria di quest’ultimo paese).

La famiglia Elkann ha considerato Marella residente in Svizzera, così come risultava dall’anagrafe. Ma per quale ragione Margherita Agnelli ha interesse a sostenere che invece Marella era residente in Italia, e che pertanto la successione è sottoposta alla legge italiana? Perché nel 2004- ponendo fine a una lite sull’eredità di Gianni Agnelli- Margherita e i figli di ramo Elkann hanno firmato un contratto con cui Margherita rinunciava a far valere pretese sulla futura eredità di Marella.

Questa forma di contratto è un patto successorio, cioè un contratto avente a oggetto l’eredità di una persona che è ancora viva: in Italia è vietato, in Svizzera è valido. Quindi, se si accerta che la residenza di Marella, morta nel 2019, era in Italia, si applicano le norme di diritto successorio italiano, Margherita viene sciolta dal suo obbligo contrattuale e può far valere le sue pretese ereditarie sul patrimonio.

Ma quale dubbio ci può essere visto che l’anagrafe dice il contrario? Il problema è che il Regolamento Successorio non fa riferimento alla residenza anagrafica ma alla residenza effettiva, un concetto legato al centro di interessi e non oggettivo, da verificare caso per caso. Considerando l’identificazione simbolica della famiglia Agnelli con Torino (potremmo quasi invertire: di Torino con la famiglia Agnelli) uno spostamento di residenza effettiva richiede un assetto di evidenze molto robuste. A posteriori, sembra dunque parecchio ottimistica la strategia di Elkann e dei suoi consulenti di puntare tutte le fiches su questo numero(ovviamente non aiuta che i  consulenti stessi abbiano fatto ritrovare nei propri fascicoli dalla Guardia di Finanza testi in cui si suggerivano alcune strategie per far apparire in Svizzera le residenza; né era esattamente machiavellico l’espediente di descrivere nel dettaglio la situazione e però nominare gli interessati come X e Y).

Infine, nessun rilievo riveste la circostanza che Marella abbia espressamente scelto la legge svizzera nel testamento: la scelta sarebbe ridondante se la residenza fosse vera, e se la residenza non fosse vera sarebbe invalida la scelta della legge di un luogo ove non si risiede.

 

La frode fiscale.

La principale evasione fiscale opposta dall’Agenzia delle Entrate riguarda l’IRPEF di Marella dato che dal 2015 sono state versate le tasse (molto poche) secondo il criterio di residenza, cioè in Svizzera. Se la residenza era posticcia, dovevano essere invece versate in Italia, anche se i redditi sono maturati all’estero, secondo il principio della worldwide taxation. Questo vale pure per le imposte di successione, dato che egualmente vanno tassati i beni posseduti all’estero dal residente in Italia. Da qui il significativo credito tributario che l’agenzia ritiene di vantare. Farò tra poco, però, una precisazione per quanto concerne i gioielli e i quadri, di cui tanto si è parlato nella cronaca.

 

I trust fittizi.

Marella aveva conferito una serie di asset finanziari in un trust nelle isole Bermuda. Il principio dei trust è che una persona perde la titolarità e la disponibilità dei beni trasferendole a un amministratore fiduciario: i poteri di costui possono essere variamente circoscritti, ma devono essere effettivi. Quindi, se il disponente (in questo caso Marella) continua a comportarsi come se fosse il proprietario, oppure se il beneficiario (in questo caso i fratelli Elkann) si comporta come se avesse già ricevuto il patrimonio, si può dire che il trustee (l’amministratore del trust, in questo caso una fiduciaria svizzera) è una testa di legno, e il trust non esistente. Vedremo nel processo se ci sono elementi di prova che Elkann agisse sostanzialmente da padrone. Devo però dire che il Gip esterna un paio di tesi discutibili, così sintetizzabili: 1) si capisce che il trust è fittizio perché i beni restavano in famiglia, dalla nonna sarebbero finiti ai nipoti; 2) si capisce che il trust è fittizio perché sono dimostrabili dei regolari contatti d’affari di Elkann con i fiduciari. Il problema è che il normale scopo del trust è esattamente quello di far restare i beni in famiglia; e che raramente il trustee viene scelto tra degli sconosciuti, e se si tratta di un professionista si vuole presumere che la deontologia prevalga (o si deve dimostrare il contrario). Queste tesi sono le stesse già seguite dalla giurisprudenza penale, criticate dalla dottrina. Ai clienti tuttavia è sempre bene spiegare che, giuste o meno, sono quelle che ci si possono attendere in un processo penale italiano.

Attenzione: non è che chi istituisce un trust va incontro a un processo penale. Quel che sto dicendo è che chi farebbe bene a mettere in conto che un giorno gli possano essere addebitati reati di una certa gravità (e non ha dunque solo da preoccuparsi di azioni di natura civile), o lascia perdere il trust oppure lo sottopone a regole più stringenti, se no il processo penale lo spazzerà via.

Ma perché entra in gioco la magistratura italiana per un trust costituito nelle Bermuda (non italiano con richiamo alla legge delle Bermuda, proprio sottoscritto alle Bermuda su asset non italiani)? Rieccoci al punto cruciale: se la residenza di Marella era in Italia, la sua successione va pagata in Italia; in questo caso il fisco italiano ha interesse a verificare che tutti i beni, in Italia e all’estero, siano inclusi nell’asse ereditario; a quel punto ha interesse a verificare la validità del trust, dal punto di vista del riconoscimento in Italia; se il trust è fittizio, è come se i beni fossero rimasti nel patrimonio del disponente e vanno quindi compresi nel patrimonio successorio.

 

Le donazioni finte.

Altra contestazione è che i quadri e altri beni, come i gioielli, non siano stati indicati nell’inventario dell’eredità redatto dal notaio svizzera. In quella circostanza Elkann avrebbe seguito il consiglio dei consulenti, dichiarare che erano stati “regalati fisicamente”. Un giurista potrebbe fare un balzo sulla sedia. Ma come, per passare trentamila euro a un figlio necessita la donazione per atto pubblico dal notaio, e gli Agnelli si sono trasferiti dei quadri di Bacon, De Chirico o Warhol, o degli orecchini del valore di 78 milioni, mediante il pensiero e la “fisicità”?

Le norme italiane di diritto internazionale, tuttavia, prevedono che la donazione sia valida quando rispetta la forma del luogo in viene effettuata; e la Svizzera obbliga alle donazioni solo per gli immobili, ammettendo che per tutto il resto basti “la consegna”.

A parte la questione se si sia trattato di decisioni in vita di Marella o invece (come sostiene l’inquirente) di architetture dei consulenti di famiglia posteriori alla morte di Marella, ci si può domandare se la semplice “consegna” sia una forma o piuttosto un’assenza di forma; e perlomeno chiedersi se spetti a chi contesta provare che la consegna è avvenuta in Svizzera (probatio diabolica senza seguire gli interessati per 24 ore con una videocamera) o se piuttosto la prova sia compito di chi asserisce di avere ricevuto i “regali” (specie se pensiamo che la maggior parte di essi si trovava in Italia e che alla dogana non passano inosservati).

Devo però aggiungere che la questione interessa l’erede in contenzioso (Margherita) ma assai meno lo stato, giacché quadri e gioielli, se erano conservati in casa, dal punto di vista fiscale sono equiparati alla “mobilia” e quindi tassati forfettariamente aumentando l’asse ereditario del dieci per cento, a meno che l’erede non scelga di far redigere un inventario da un notaio che porterà a una tassazione minore (se inferiore al dieci per cento dell’asse) o maggiore (se superiore). Non direi che possa essere utilizzato allo scopo l’inventario redatto dal notaio svizzero: come minimo non con riguardo ai beni che erano menzionati solo per precisare che non rientravano nell’asse ereditario, e dei quali presumo neppure sia stato indicato il valore.

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