Covid19, protezione del patrimonio, trust e vincolo di destinazione

L’emergenza Covid19 è al tempo stesso sanitaria ed economica. E’ sbagliato contrapporre questi due aspetti, qualificando il secondo come vile a confronto del primo. Non si sta parlando di comparare i profitti con la salute. Per quanto ne sia ancora incerta la durata, la vastità della crisi minaccia di tramutare molti dissesti economici in problemi che impattano gravemente sulla salute, e a volte sulla sopravvivenza.

La preoccupazione coinvolge la tutela dei posti di lavoro ma anche (e parallelamente) la tenuta delle attività economiche, già a uno stadio critico per diversi imprenditori.

Ha senso in questo momento pensare alla tutela del proprio patrimonio?

Evidentemente sì, purché ci si accosti nel modo corretto. Non ci si può seriamente attendere (ed è meglio diffidare di chi lo propone) di liberarsi di debiti già esistenti, anche quando non sono ancora emersi. Ma è proprio un evento imprevedibile come il coronavirus a dimostrare come il ricorso ad alcuni strumenti leciti e meritevoli, attuato per tempo e in chiave preventiva, possa cambiare la vita di una famiglia, di una persona o di un’azienda. E naturalmente, anche se realizzati tardivamente rispetto a debiti esistenti, questi strumenti evitano che la situazione si aggravi.

In Italia i due negozi giuridici più significativi nel campo della protezione del patrimonio sono il trust interno e il vincolo di destinazione. Vanno normalmente pensati in un’ottica più estesa della pura protezione di un patrimonio: il trust, specialmente, comprende sfere d’interessi che vanno dalla pianificazione successoria al passaggio generazione dell’azienda, dalla gestione della crisi d’impresa e di quella familiare alla tutela dei soggetti deboli.

Sia il trust che il vincolo di destinazione normalmente non si esauriscono in una sfera egoistica. A lungo del vincolo di destinazione, introdotto dall’articolo 2645-ter del codice civile, si è sostenuto che dovesse rispondere a intenti altruistici e particolarmente meritevoli; poi questa interpretazione si è fortemente attenuata. Ma permane un netto ostracismo verso l’autodestinazione: un vincolo cioè posto nell’interesse del soggetto che lo pone in essere, salvo nei casi in cui costui se lo riservi mentre compie un atto di disposizione.

Egualmente, è messa in dubbio la legittimità dei trust nei quali il disponente sia anche il beneficiario: ciò che sarebbe possibile solo a certe condizioni (fra le quali che non si tratti dell’unico beneficiario), oltre al fatto che la sovrapposizione sia ammessa dalla legge regolatrice (che non può essere quella italiana). Al di là delle disquisizioni strettamente giuridiche, è nato un atteggiamento di rigetto di fronte alla selvaggia (e inutile, quando non dannosa) strumentalizzazione di questi istituti per fini fraudolenti.

Nel volume da me curato per Giappichelli, “Trust: criticità, correzioni e sviluppi” ho ipotizzato alcune, limitate circostanze nella quali non mi parrebbe precluso il ricorso a un trust in cui il disponente e il beneficiario siano la stessa persona. Avevo anche proposto, con la medesima cautela qualche apertura verso il vincolo autodestinato nel mio libro “Contratti di convivenza e di unione civile.

Mi sembra che l’emergenza Covid19, per la sua eccezionalità, segni una plausibile svolta nella riflessione sul punto. Ne parlo in questo video, e premetto che mi riferisco a operazioni giuridiche trasparenti, e coerenti con l’imperativo di non porre in essere condotte antisociali, mai tanto vincolante come adesso.

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